Call of Cthulhu Recensione: gli orrori di H.P. Lovecraft prendono vita

L'avventura grafica di Cyanide riproduce ottimamente le atmosfere lovecraftiane, ma si perde in una struttura ludica piuttosto debole.

Call of Cthulhu
Recensione: PlayStation 4
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Scrivo queste note in una morsa d'angoscia. È per me difficile descrivervi ciò che ho appena vissuto: avverto sulla mia pelle una sensazione inesplicabile, come quando al mattino ti risvegli con addosso il ricordo di un incubo sfumato. O come quando finisci di leggere l'ultima riga di un racconto di H.P. Lovecraft. Più volte lo scrittore di Providence mi ha condotto, con le sue parole, verso gli abissi della follia, mostrandomi orrori innominabili e verità cosmiche che non credevo concepibili da mente umana. E dopo aver completato la lettura del Ciclo di Cthulhu, il più "grande" dei Grandi Antichi, nonostante fossi ad un passo dal baratro della pazzia, avevo ancora fame di conoscenza. Per questo non ho saputo resistere al richiamo di Call of Cthulhu, l'ultima avventura interattiva di quei "poeti pazzi" di Cynide, intenzionati a riportare in vita in formato digitale l'immaginario dell'autore americano. Al termine di questo pellegrinaggio virtuale, però, la mia mente ne è uscita più sana di quello che mi sarei aspettato. È questa la ragione per cui provo una certa angoscia nel narrarvi la mia esperienza: da una parte percepisco ancora un leggero tremolio per aver ammirato con gli occhi tutta la potenza dell'atmosfera lovecraftiana, ma dall'altra serpeggia il rimpianto (misto a delusione) per un viaggio che, in fin dei conti, si dimentica facilmente. Proprio come un piccolo, strano sogno alle prime luci del mattino.

    Capitolo I: Colui che sussurrava nelle tenebre

    Senza che nemmeno me ne accorgessi, come se fossi d'improvviso precipitato in un vortice spazio-temporale, mi sono ritrovato ad osservare il mondo dalla prospettiva di un altro essere umano. Quando ho aperto gli occhi, avevo già compiuto un salto a ritroso negli anni, nel 1924 per la precisione: la mia coscienza si era incarnata nel corpo di Edward Pierce, un tipo burbero, piuttosto rozzo, che aveva come migliore amica una bottiglia di liquore, di quelli forti, amari, luridi, che ti fanno dimenticare gli sbagli del passato. Era un reduce di guerra, il mio Pierce, e la sua stabilità psicofisica ne aveva pagato le conseguenze. Come nuovo impiego, Edward si era reinventato investigatore privato. Roba per sbarcare il lunario, nulla di più. Seppur lontano dai campi di battaglia il detective non riusciva proprio a far pace con i suoi tormenti. Come le mie, anche le sue notti erano infestate da incubi indecifrabili. Ricordi deformi o previsioni del futuro? Inizialmente non mi sono posto troppe domande. E non ho avuto neanche il tempo di farlo. Alla porta di Pierce aveva bussato un facoltoso gentiluomo con un'offerta irrinunciabile: indagare sulla sparizione della giovane e bella pittrice Sarah Hawkins, scomparsa dalle scene dopo che la sua dimora nell'isola di Darkwater era andata a fuoco in circostanze inspiegabili, inghiottendo figlioletto e marito tra le fiamme. La paga era buona, e non c'erano motivi apparentemente validi per rinunciare all'incarico. Nelle vesti del detective, mi sono quindi imbarcato verso Darkwater, armato soltanto di intuito e curiosità: due virtù che, in quella lercia terra di pescatori, non erano tanto apprezzate, e che rischiavano di condurre un buon uomo alla rovina. Ho vissuto tutto il viaggio in prima persona, attraverso gli occhi di Edward: per una decina di ore, i suoi pensieri erano diventati i miei, così come la sua arroganza, la sua lingua affilata e la sua intuitività.

    In questo lasso di tempo in sua compagnia, ne ho conosciuti di tizi poco raccomandabili. Darkwater era piena di manigoldi, ubriaconi, visionari e pazzoidi, un compendio piuttosto prevedibile di casi umani, con cui ho potuto dialogare, litigare, collaborare. E se all'inizio il filo logico degli eventi mi sembrava coerente e coeso, poco a poco ho cominciato ad addentrarmi sempre più a fondo in un contorto ed allucinato gioco di inganni, sospetti e menzogne. Quello che ho sperimentato è stato un percorso a tratti un po' confuso, in bilico tra sogno e realtà: ho sentito voci che sussurravano nelle tenebre, ho parlato con messaggeri dell'incubo che volevano mostrarmi la verità del mondo, ho assistito a rituali perversi e deviati.

    Ma in nessun momento ho provato la più antica e potente emozione umana: la paura. E se è vero che la paura più antica e potente è la paura dell'ignoto, io non sono mai stato irretito né dai dubbi, né dall'inconsapevolezza. Mettendo insieme i tasselli del puzzle, il mistero ha iniziato a farsi ovvio, cristallino, quasi scontato. E poi, quando è calato il sipario, mi sono voltato alle mie spalle, e mi sono reso conto che avrei potuto compiere altre scelte, imboccare strade mai esplorate per scoprire la soluzione del caso. Ed allora sono tornato indietro più e più volte, per vivere nuovamente questo viaggio: così facendo ho assistito a conclusioni differenti, ma non per questo più soddisfacenti. È stato chiaro fin da subito che quei poeti pazzi di Cyanide volessero spingermi soprattutto in una direzione ben definita, inducendomi a prendere specifiche decisioni, allo scopo di scoprire la verità che si cela tra i verdastri panorami di Darkwater. Eppure, si sa: la verità non esiste.

    Capitolo II: Orrori indescrivibili

    Una sola avventura, tanti possibili finali. Nessuno particolarmente appagante, o per il quale ho perso la testa. Nonostante tutto, però, ne è valsa la pena. Se non altro per tutte quelle immagini, visioni ed emozioni che hanno preso vita davanti ai miei occhi: attirato dal richiamo, mi sono lasciato travolgere da un'odissea onirica dove i sensi sono stati messi a dura prova, dove riecheggiavano versi sacrileghi ed arcani.

    Più andavo avanti, più capivo di non potermi tirare indietro: nel lerciume nauseabondo di Darkwater si respirava infatti un'atmosfera degna delle opere di Lovecraft, e questa è stata già una conquista piuttosto importante, uno stimolo non da poco per proseguire nelle indagini. Gli adepti di Cyanide sono stati bravi, non c'è che dire: hanno interiorizzato le parole dello scrittore, manifestato in forma di pixel gli orrori del Necronomicon, digitalizzato le inquietanti suggestioni del Ciclo di Cthulhu. Ed io li ho rivisti tra il degrado dell'isola, nei marcescenti laboratori degli ospedali, nei fatiscenti saloni di una villa abbandonata, nei profondissimi sotterranei dove persino la luce della luna aveva timore di affacciarsi. Darkwater è un posto scuro, polveroso e perso, ma l'ho visitato con la stessa curiosità di chi ama scavare nel proibito. Mentre vagavo in luoghi pieni di morte e di angoscia, nelle orecchie si ammassavano sussurri, grida, lamenti. Mi sembrava quasi di udire quella formula che non avrebbe mai dovuto essere pronunciata: Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn. E avevo come l'impressione di riuscire persino a capirla. È un peccato che tutta questa rappresentazione digitale e tutto il suo corredo grafico mi siano apparsi un po' troppo "antichi". Nel mio sogno virtuale gli abitanti dell'isola mi parlavano con espressioni rigide e scarsamente comunicative, mentre intorno a loro il mondo era tratteggiato da contorni poco definiti. Nitidi e agghiaccianti sono stati invece gli orrori a cui ho assistito. Ma non mi dilungherò oltre nel narrarvi di simili apparizioni. Se anche voi lettori, magari mossi dal resoconto di queste mie memorie, deciderete di incamminarvi verso Darkwater, vi accorgerete che tentare di descrivere in qualunque modo quelle mostruosità è impossibile.

    Capitolo III: La maledizione dell'intelligenza

    Giunti a questo punto del racconto, alcuni potrebbero domandarsi quanto sia stato difficile districarsi tra i piani dell'esistenza e svelare il segreto che avvolgeva la famiglia Hawkins. Non molto, a voler essere sinceri. Lovecraft sosteneva che l'intelligenza fosse una maledizione. E forse non aveva tutti i torti. Se Pierce fosse stato dotato di meno intuito, il caso sarebbe stato più difficile da risolvere. Intrufolatomi nella sua testa, d'altronde, ho avuto miracolosamente accesso a tutte le sue abilità. Benché fosse un reduce di guerra, tra i suoi talenti non rientrava il combattimento.

    Ecco perché nei suoi panni sono stato obbligato a destreggiarmi a suon di parole, e non di cazzotti o sparatorie. Sebbene sulle prime mi pareva quasi di avere a disposizione un'ampia varietà di scelta, in realtà l'indagine si è dimostrata molto più guidata del previsto. Per buona parte della mia avventura ho conversato con gli abitanti di Darkwater, cercando sia di convincerli ad agire secondo le mie volontà sia di strappare loro qualche informazione utile per mettere insieme i frammenti del puzzle. Quando i beoni del posto o le forze dell'ordine non cooperavano, mi sono armato di pazienza ed ho analizzato ogni anfratto dell'isola, cercando tra le notizie dei giornali, negli angoli dei magazzini in disuso, o nelle stanze della magione degli Hawkins.

    Purtroppo non ho mai avuto grossa libertà di manovra: gli spazi in cui mi muovevo erano sempre limitati, e -fatta eccezione per un paio di zone più ariose - nel complesso ho sempre agito in stanze dalle dimensioni contenute. Più scoprivo dettagli sulle personalità del luogo, più mi venivano in mente le domande giuste da porre alla gente dell'isolotto, così da farle vuotare il sacco con maggiore rapidità. Dinanzi a qualche ostacolo non facilissimo da sormontare, ho potuto contare sulle abilità del buon Pierce, legate alle doti di eloquenza, forza, investigazione, fiuto e psicologia. Sono tutti talenti che ho migliorato a mio piacimento, investendo l'esperienza accumulata.

    Una maggiore parlantina, ad esempio, mi ha permesso di raggirare i miei interlocutori, ed il fiuto da investigatore mi ha concesso la facoltà di scassinare serrature prima bloccate, o di scovare con più semplicità tutti gli indizi celati. In sostanza, ho scoperto che c'erano sì vari metodi per superare un singolo impedimento, ma alla fine la strada da seguire restava comunque molto inquadrata. La libertà d'azione che credevo di possedere, dunque, era solo apparente. Questo non implica, tuttavia, che la mia discesa nei meandri più turpi della realtà fosse priva di un certo fascino, ammantata com'era di un piglio onirico e citazionista. Avanzando passo dopo passo, inoltre, mi sono imbattuto sia in antichi manufatti su cui erano incisi versi in una lingua ignota, sia in pazienti afflitti da un morbo sconosciuto: in simili frangenti sono giunte in mio soccorso le capacità di Pierce connesse all'occulto ed alla medicina, che ho avuto modo di perfezionare recuperando alcuni volumi sparsi lungo le ambientazioni di Darkwater. Anche di fronte a tali eventi inspiegabili persisteva però un sentore di forte linearità, come se nei piani iniziali di Cyanide tutte queste caratteristiche dovessero svolgere un ruolo di maggior rilievo nel corso della progressione, ma la loro importanza fosse stata progressivamente ridotta in favore di un approccio più story-driven. La mia maledetta intelligenza, quindi, non è stata mai sfruttata a dovere: gli enigmi che ho affrontato erano davvero pochissimi, e tutti molto elementari da sbrogliare. Come avrete capito, Pierce non era un lottatore e preferiva usare il cervello piuttosto che i cazzotti. Aveva il fisico tozzo, da picchiatore patentato, ma era meno attaccabrighe di quanto sembrasse.

    È questo il motivo che mi ha costretto ad evitare di soppiatto le rarissime minacce che popolavano Darkwater: quando qualcuno (o qualcosa...) mi inseguiva ho dovuto quindi nascondermi negli armadietti, stando ben attento a non attardarmi al buio, perché le notti di trincea hanno indotto il mio detective ad avere una patologica paura per i luoghi stretti e per l'oscurità.

    Armato di accendino o lampada ad olio, mi sono tenuto ben distante dalle zone più anguste o dagli ambienti privi di un singhiozzo di luce, altrimenti la mia sanità mentale ne avrebbe fortemente subito i contraccolpi. Tenere sotto controllo la follia è stata una delle necessità più suggestive dell'intera indagine. Assistendo ad alcuni eventi al limite dell'incredibile, le facoltà cognitive di Pierce (e di conseguenza anche le mie) hanno iniziato a vacillare. So quello che state pensando: credete sia un meccanismo simile a quello di altre esperienze (Amnesia, per dirne una) nelle quali occorreva distogliere lo sguardo dai vari abomini per non diventare pazzi. Ed invece la follia orchestrata da Cyanide è un po' diversa, più subdola ma altrettanto interessante. In certe istanze, del resto, la mia curiosità è stata messa alla prova: sono entrato infatti in possesso di alcuni tomi malefici durante le mie ricerche, alcuni dei quali, se letti, avrebbero avuto un impatto devastante sul mio raziocinio.

    Voi cosa avreste fatto al mio posto? Vi sareste immersi nella lettura incuranti della vostra psiche, oppure avreste evitato di approfondire il sapere proibito, per non mettere in discussione le fondamenta della vostra realtà? Non vi dirò le scelte che ho compiuto io, ma sappiate soltanto che hanno avuto una discreta influenza sul modo in cui la mia storia si è conclusa. Che scegliate o meno di scalare le Montagne della Follia, ricordate le parole del profeta: Gli uomini di più ampio intelletto sanno che non c'è netta distinzione tra il reale e l'irreale, che le cose appaiono come sembrano solo in virtù dei delicati strumenti fisici e mentali attraverso cui le percepiamo.

    Call of Cthulhu Call of CthulhuVersione Analizzata PlayStation 4Quando tutto è finito e mi sono ridestato dall'incubo, ho compreso la verità: Call of Cthulhu non è stato in grado di sopportare le sue enormi ambizioni. Un'avventura superficiale sul piano dell'esperienza interattiva, incapace di mettere pianamente a frutto tutte le sue pur buone intuizioni. Ciononostante l'ho vissuta (e la vivrei ancora) con un certo gusto, attratto dalla piacevole materializzazione della poetica lovecraftiana, dall'atmosfera follemente perversa e dall'evidente passione per il materiale originale. Avrebbe potuto avere più coraggio - questo è indubbio - ed anche più consapevolezza dei propri limiti. Quello di Cthulhu, che ancora attende sognando una trasposizione videoludica pienamente degna del suo nome, è un richiamo a cui è possibile restare sordi. Ma se i fedeli dl culto del Lovecraft volessero rispondere, proprio come ho fatto io, non sarebbe di certo una pazzia.

    6.5

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